9 Maggio 2016

Don Franco Picone, in cammino verso la legalità sulle orme di Don Diana

Nella parrocchia San Nicola di Bari a Casal di Principe (CE), qualcuno ha raccolto l'eredità di don Giuseppe Diana, assassinato dalla camorra il 19 marzo del 1994. Da oltre vent'anni al suo posto c'è don Franco Picone ed è un continuo fiorire di attività educative e pastorali.
Una foto di don Peppe Diana

Alle porte di Casal di Principe il classico cartello di benvenuto ci accoglie nel “paese nativo di don Peppe Diana”, dove “uniti nella legalità si vince”.
Poi compaiono le prime case e i vicoli troppo spesso deturpati dall’abusivismo, appoggiati su un manto stradale dove reti di crepe e buche si rincorrono.

Il paese è silenzioso, mancano piazze, risate di bambini e vociare di anziani, e il corso principale è un susseguirsi di piccoli negozi da dove qualcuno guarda chi cammina per strada. Per trovare la piazza con la sua socialità, devi entrare nei cortili delle parrocchie, quattro per esattezza in una cittadina di circa 20.000 abitanti di cui il 5% provenienti da più di 30 paesi del mondo.

Ed è in una di queste chiese, S. Nicola di Bari che il 19 settembre 1989 don Giuseppe Diana fu nominato sacerdote. Una parrocchia fondata negli anni ’60 in uno dei quartieri più poveri di Casal di Principe, il quartiere Larino, residenza dei più noti esponenti dei clan della camorra.

La parrocchia doveva rispondere ai bisogni degli abitanti di un quartiere allora in espansione e compensare l’assoluta assenza di servizi sociali sul territorio.

Don Peppino, come sarà chiamato da tutti, capisce subito la difficoltà di guidare i suoi fedeli su quel territorio che in un anno, il 1989 aveva visto consumarsi 2621 omicidi in tutta la Campania.
Conosce le loro paure, la diffidenza, e vive la difficoltà di creare un rapporto di fiducia tra i parrocchiani.

Eppure nonostante tutto inizia a fare prediche in cui la violenza viene bandita in nome del riscatto sociale, usando apertamente parole che spesso creano preoccupazione tra le persone che lo circondano. Preoccupazioni che troveranno conferma la mattina del 19 marzo 1994 alle 7.00 del mattino, giorno della sua morte.

Fu ucciso nella sagrestia della sua chiesa il giorno del suo onomastico, con 5 colpi di pistola per mano della camorra, colpevole del suo impegno per la legalità e soprattutto colpevole di aver scritto “In nome del mio popolo” un documento diffuso in tutte le chiese dell’aversano nel Natale del 1991 e sottoscritto dai parroci della forania di Casal di Principe.

Nel documento, tra le altre cose, chiedeva “Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26).

Ma la sua morte non impedì ai sacerdoti di parlare come la camorra aveva sperato, e vide una comunità ribellarsi come mai aveva fatto prima, e partecipare in massa ai funerali di don Peppino.

Poi l’arrivo a San Nicola di don Franco Picone, un giovanissimo sacerdote di 27 anni desideroso di riprendere quel cammino di legalità barbaramente interrotto.

Un cammino da costruire giorno per giorno, con fatica e caparbietà.

Tante le urgenze: i bambini e il loro diritto ad una scuola in grado di renderli domani uomini liberi, il bisogno di riscatto delle donne, voci di pace spesso inascoltate e l’apertura verso gli immigrati, nuovi lavoratori dell’agro aversano ridotti quasi in schiavitù.

Per capire la forza e la costanza del suo impegno, basta aprire la porta della sua chiesa e attraversare il corridoio dove ieri si sperse il sangue di don Peppino e dove oggi risate di bambini e voci di adolescenti e adulti si alternano nelle diverse ore del giorno. E lui è sempre lì, a disposizione di chiunque abbia qualcosa da chiedere e nei momenti di silenzio, quando la fatica si fa sentire, si rivolge a don Peppino, forte di quel rapporto tra un sacerdote e la sua terra, che neanche la morte è riuscita a spezzare.

“Sono venti anni che passo per quel corridoio che ha raccolto il tuo ultimo sguardo e verificando i cambiamenti che ci sono stati in questo popolo desideroso di nuove opportunità, mi rendo conto che non si può amare senza essere eccessivi. Questa terra, liberata quasi totalmente dalla vecchia schiavitù, e non ancora capace di camminare su strade sicure e alternative deve essere amata da cuori liberi come il tuo, capace di lasciare pezzi importanti della propria esistenza pur di vederla rinata. Hai scommesso sulla volontà degli uomini di cambiare e tanti stanno rispondendo al tuo appello ancora vivo. Il mondo si trasforma lentamente ma tu ci confermi che è possibile renderlo diverso. La tua fede mi ha colpito più di ogni altra cosa e mi ha fatto capire perché ti hanno ucciso. Grazie perché mi hai fatto ritrovare quell’immenso amore nel quale anche tu ti sei perso”.

9 Maggio 2016
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