9 Maggio 2016

Ad Augusta, con le vittime del cancro e dell’inquinamento

Chiesa Madre di Augusta, arcidiocesi di Siracusa. Don Palmiro Prisutto il 28 di ogni mese ripete il lungo elenco di quanti sono morti prematuramente a causa di malattie dovute all'inquinamento di un territorio martoriato da fanghi tossici sversati abusivamente. La sua terra, la sua gente, e lui non li abbandona.

Sono le 18,30 e le campane della Chiesa Madre di Augusta chiamano a messa. Sull’altare don Palmiro inizia a leggere e i nomi si susseguono fino a riempire tutti gli spazi della grande chiesa. È una commemorazione dolorosa che si celebra il 28 di ogni mese, per ricordare tutti quegli scomparsi, morti di cancro, e ignorati da molti.

Sono bambini, giovani, adulti, anziani, perché quello di Augusta è un eccidio che non risparmia nessuno. Alla memoria tornano volti di chi fino a poco prima camminava per strada, sedeva nei bar, si fermava a chiacchierare in piccoli gruppi nella grande piazza del paese. Per tutti la stessa sentenza, la stessa condanna: tumore.

Poi lo sguardo si alza oltre le case fino a raggiungere il golfo e dove una volta sorgeva il grande sito archeologico di Magara Iblea oggi distrutto dal petrolchimico, appaiono le grandi ciminiere,

La disgrazia di Augusta è stata proprio la sua splendida posizione e le sue risorse naturali. La grande ricchezza di acqua, il porto naturale su cui si affaccia, uniti alla disponibilità a fornire manodopera  a basso presso da una popolazione povera, che viveva il sogno di poter lavorare a casa propria senza sentirsi obbligata ad emigrare.

Padre Palmiro Prisutto, augustano doc, è nato nel 1954, gli anni del così detto “Miracolo economico”. È cresciuto insieme alla Rasiom, la Liquilchimica, la Cogene, L’Eternit, la Sicilfusti, l’Edison, la I.C.A.M, l’ISAB, l’ERG, ha visto la sua terra trasformarsi, ha vissuto il dolore di chi vede lentamente sottrarglisi, le palme i carrubi, il mare l’aria.

Giovane pescatore negli anni ’80, quando i pesci morivano con il ventre scoppiato e le branchie piene di muco per una  “liberazione indiscriminata e criminale di sostanze tossiche*”, inizia a scrivere sul settimanale diocesano fino a lanciare nel 1988 un allarme cancro che in seguito si rivelerà non solo una verità ma una sciagura insopportabile.

Sa bene che nei fondali del porto di Augusta sono depositati 18 milioni di metri cubi di fanghi tossici, che nell’aria ogni giorno vengono liberati acrilonitrile, benzolo, cadmio, cromo esavalente, nichel, silice, vanadio, diossine e furani, che il suolo è inquinato dalla presenza di discariche abusive di rifiuti tossici, spesso interrati come nel caso del campo sportivo di Augusta realizzato su ex saline colme di ceneri di Pirite. Conosce i numeri delle nascite di bambini malformati e soprattutto celebra i funerali dei suoi concittadini che quasi non riescono a superare i 65 anni di età. Non trova aiuto nelle pubbliche amministrazioni che si succedono nel corso degli anni, non un segno di volontà per cambiare le cose. Allora con fatica, rompendo il doloroso silenzio dei suoi concittadini, comincia a stilare un elenco. che inizia con il nome di una bambino, un anno, morto per tumore non specificato e fa quello che solo un sacerdote può fare. Il 28 di ogni mese legge quei nomi dall’altare, e l’acustica della sua chiesa barocca ne triplica il volume fino a farli diventare un’onda che sommerge i volti dei presenti, le panche l’altare come fosse un maremoto. È una messa, in difesa della vita, della dignità non riconosciuta, del diritto alla salute, a diventare adulti a invecchiare sereni nella propria casa. È un invito a liberarsi dalla paura e dalla solitudine. È una messa detta anche per noi lontani da Augusta, che non possiamo restare insensibili davanti a tanto dolore in nome di un progresso che ogni giorno ci rende sempre meno uomini e donne.

 

*Dossier “Le indagini nell’area a rischio di Augusta e Siracusa” prof. Luigi Solarino

9 Maggio 2016
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